Plastic Garbage Project
 

LA VITA DELLA PLASTICA

 
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Nell’Europa occidentale si consumano annualmente circa 92 chilogrammi di plastica pro capite, questo dato è in costante aumento. Su scala mondiale, la media si colloca intorno ai 35 chilogrammi. La maggior parte dei rifiuti in plastica proviene dall’industria degli imballaggi: due terzi da rifiuti domestici e un terzo da rifiuti provenienti dalle attività industriali e commerciali.

 
 

La scienza dei materiali plastici

L’uso massivo della plastica ha avuto luogo a partire dagli anni cinquanta e da allora ha registrato una costante crescita. A oggi ne vengono prodotte annualmente più di 300 milioni di tonnellate. Se in Europa la produzione è rimasta pressoché costante da una decina d’anni, questa è ancora in crescita specialmente nei paesi in via di sviluppo.

La plastica deve la sua popolarità non solo al suo basso costo di produzione, ma anche alla sua praticità: leggerezza, resistenza agli acidi e malleabilità. Quest’ultima proprietà stimola l’innovazione tecnologica e, in particolar modo in campo medico, nella tecnologia delle costruzioni, nell’aeronautica e nell’industria automobilistica, conduce all’ideazione di nuove soluzioni e migliorie e a un maggior comfort.

Tuttavia il consumo massiccio di questo materiale non è esente da problemi. Una buona parte delle plastiche finisce nella spazzatura. Non essendo biodegradabile, la plastica comune, se non correttamente smaltita, continua a contaminare l’ambiente per decine di anni, se non addirittura secoli. Ad oggi si possono già osservare montagne di plastica nelle nostre discariche e in natura. Da qui l’urgenza di una gestione dei rifiuti lungimirante e globale.

 
 

Le principali plastiche convenzionali

La plastiche sono composte da lunghe catene di molecole chiamate polimeri, formate dall’associazione di più monomeri. Le plastiche sintetiche sono fabbricate a partire da olio minerale, carbone o gas naturale. Il 4 per cento della produzione mondiale di petrolio e di gas è infatti destinato all’industria della plastica. Esistono altresì dei prodotti semisintetici realizzati a partire da polimeri naturali come la cellulosa. Al giorno d’oggi vengono prodotte sempre più plastiche organiche a partire da materie prime rinnovabili. Le plastiche più diffuse in campo industriale sono il polietilene, il polipropilene, il PVC, il polistirene, il PET e il poliuretano.

 

POLIURETANO (PU)

I poliuretani derivano dalla polimerizzazione di isocianati (estere) e di dioli (alcol bivalenti). Il metodo di produzione può conferire caratteristiche diversificate a questo gruppo di plastiche. Il PU viene spesso prodotto sotto forma di schiuma espansa. Quando la schiuma è soffice e mantiene la sua forma è impiegata nelle imbottiture di mobili; una schiuma più rigida è invece utilizzata nell’industria delle costruzioni. Questa tipologia di plastica viene altresì impiegata nella produzione di vernici, colle e fibre tessili elastiche; tuttavia non è facile da riciclare e, a contatto con il fuoco, libera delle sostanze tossiche (isocianati, acido cianidrico).

Applicazioni:
Materassi, sedili auto, spugne da cucina, isolanti termici, trattamento antiruggine nell’industria automobilistica, rivestimenti pavimenti e mobili, tessile (elastan).

POLicarbonato (PC)

I policarbonati appertengono anch’essi al gruppo dei polimeri e sono prodotti generalmente a partire da fosgene e bisfenolo A. Date le sue particolari proprietà, il PC è una plastica importante, ma relativamente costosa, utilizzata in caso di “richieste particolari”. Questo è il motivo per cui il policarbonato non fa parte delle plastiche prodotte su larga scala.  

Incolore e semitrasparente il policarbonato, nonostante abbia una resistenza chimica piuttosto bassa, possiede una buona resistenza agli shock e alla rottura; per questo motivo è considerato materiale ideale nelle strumentazioni ottiche e nella produzione di vetri di sicurezza. Tuttavia per il fatto di contenere bisfenolo A, può essere nocivo per la salute.

Applicazioni:
CD e DVD, industria automobilistica, elettronica, lenti ottiche, caschi di sicurezza.

POLISTIRENE (PS)

Il polistirene è prodotto a partire dallo stirene, liquido incolore. Allo stato di schiuma espansa, lo si conosce sotto il nome commerciale di Styrofoam. La superficie del PS ha l’aspetto brillante del vetro; è un materiale rigido e fragile, il che può portare alla formazione di fessure da tensione. Sotto forma di schiuma, è soprattutto utilizzato come isolante termico. Il PS è problematico a causa del contenuto di sostanze cancerogene, soprattutto durante la produzione e il trattamento. In aggiunta non è facile da riciclare.

Applicazioni:
Custodie per CD, isolanti di cavi elettrici, custodie per apparecchi elettrici, vasetti per yogurt, fogli di imballaggio, isolanti termici, imballaggi isolanti. 

POLIETILENE (PE)

Il polietilene è ottenuto dalla polimerizzazione dell’etilene, una sostanza gassosa. La sua densità può essere influenzata variando il procedimento di sintesi, portando alle tre seguenti tipologie: HDPE (polietilene ad alta densità), LLDPE (polietilene lineare a bassa densità) e LDPE (polietilene a bassa densità). Generalmente piuttosto flessibile, il polietilene possiede un elevato grado di resistenza chimica. Dato che il PE non assorbe acqua e possiede una bassa densità, galleggia restando sulla superficie dell’acqua.

Applicazioni:
HDPE: portabottiglie, botti, bottiglie e flaconi, secchi e recipienti
LDPE, LLDPE: film d’imballaggio, sacchetti di plastica, guaine per cavi, tubi.

polipropilene (PP)

Il polipropilene – conosciuto anche con il nome di polipropene – è una termoplastica derivata dal gas propene. Viene spesso impiegato nella fabbricazione di fibre.

Il PP è, tra le materie plastiche prodotte su larga scala, quella con la densità più bassa: galleggia sempre in superficie. La sua stabilità e resistenza chimica sono paragonabili a quelle del polietilene a bassa densità, ma può essere utilizzato a temperature più elevate. Inodore e non irritante per la pelle, il PP conosce una vasta gamma di impieghi nell’industria alimentare e farmaceutica.

Applicazioni:
Imballaggi alimentari, elettrodomestici, industria dell’automobile, costruzione, arredi da giardino, erba sintetica, rivestimenti per valigie, strumentazione medica, sacchetti di plastica.

CLORURO DI POLIVINILE (PVC)

Il polivinilcloruro è prodotto a partire dal gas cloroetilene, conosciuto sotto il nome di cloruro di vinile. L’aggiunta di plastificanti rende questo materiale, inizialmente rigido, elastico. Gli ftalati usati come plastificanti nel PVC, possono arrivare fino al 70 per cento del materiale. Il PVC è una plastica isolante, robusta e con una buona resistenza al fuoco, il che lo rende un materiale ideale per la costruzione, soprattutto per tubature e profili per serramenti. Dall’altro lato, il PVC non è privo di rischi: essi si situano tanto a livello di cancerogenicità del materiale di base, che a livello di ftalati e di diossine liberate a contatto con il fuoco.

Applicazioni:
Rivestimenti per pavimenti, tubi di scarico, profili per serramenti, guarnizioni, tubature, dischi in vinile, prodotti per bambini, salvagenti.

 

POLIETILENE TEREFTALATO (PET)

Il polietilene tereftalato è un policondensato della famiglia dei polimeri, ottenuto dalla policondensazione di acido tereftalico e glicol etilenico.
Trasparente, leggero e anti shock allo stato amorfo, il PET è principalmente utilizzato per la produzione di bottiglie per bevande e acqua. L’utilizzo del PET avviene anche in ambito tessile nella produzione di fibre (microplastiche); è indeformabile, antipiega, non si sgualcisce ed è impermeabile. Il PET ha anche un buon bilancio di riciclo. Resta problematico il fatto che le bottiglie in PET rilascino nel liquido in esse contenuto dell’acetaldeide e dell’antimonio. Tuttavia i valori registrati non sono considerati nocivi per la salute.

Applicazioni:
Bottiglie, imballaggi alimentari e cosmetici, elettrodomestici, costruzioni meccaniche, cinture di sicurezza, impianti medici.

PLASTICHE BIODEGRADABILI

Una plastica è biodegradabile quando si decompone negli elementi: acqua, biossido di carbonio, metano e biomassa. La biodegradabilità non dipende dalla materia prima di cui è composta la plastica, ma dalla sua struttura. Esistono plastiche che derivano dal petrolio che sono biodegradabili.

Il problema è legato al fatto che il compostaggio dei materiali biodegradabili ha spesso luogo in condizioni particolari, come quelle che si ritrovano negli impianti industriali di compostaggio. Molte plastiche biodegradabili, tuttavia, non si decompongono in acqua.

 
 
 
 

Il “bio” come strategia di marketing

Molti produttori passano al “bio” in quanto la sostenibilità ecologica è un buon punto per le vendite. Tuttavia i prodotti non sempre mantengono la promessa fatta. Per esempio una bottiglia d’acqua in PLA (fatta di acido lattico polimerizzato) è difficile da compostare e se, per errore finisce nei rifiuti insieme al PET, può contaminare il ciclo di questi materiali. Inoltre le bioplastiche tendono a trasmettere il messaggio erroneo che porta a pensare di poter continuare a consumare come meglio si crede. Il dibattito sulla questione dell’utilità delle bioplastiche resta pertanto ancora aperto.

 

LE PLASTICHE A BASE BIOLOGICA (BIO-BASED)

Una plastica è definita bio-based, o bioderivata, se è prodotta a partire da materie prime (vegetali) sostenibili. Queste tipologie di plastiche possono essere prodotte a partire da: amido, cellulosa, zucchero, oli vegetali, lignina e proteine. Si tratta di sostanze che vengono estratte dal mais, dal legno, dallo zucchero o dalle patate. Le plastiche bioderivate non sono prive di criticità al pari dei biocarburanti: “Serbatoi pieni. Piatti vuoti”, poiché le superfici dedicate alla produzione di cibo vengono conseguentemente ridotte. Resta altresì aperta la questione se le plastiche bioderivate siano effettivamente più compatibili con l’ambiente di quelle derivate da oli minerali. Se si considera l’intero ciclo di vita di queste plastiche – dalla semina all’irrigazione, al raccolto, alla produzione e al trasporto, le plastiche biologiche non ottengono necessariamente un punteggio più alto.

BIOPLASTICHE

Dagli anni ottanta, si è sentito sempre più spesso parlare di bioplastiche e della loro produzione come alternativa alle plastiche convenzionali.
Inizialmente veniva fatta leva sull’aspetto ecologico della biodegradabilità; allo stato attuale, però, anche le argomentazioni economiche giocano un ruolo importante. Con l’aumento del prezzo del petrolio, l’industria della plastica si interessa sempre più alle plastiche di origine biologica.
Tuttavia, i termini “biodegradabile” o “a base di materiali biologici” non sono sinonimi. Se in entrambi i casi si parla di “bioplastiche”, le due terminologie rimandano a caratterisitche differenti, che possono essere combinate o manifestarsi separatamente.

 

Gli additivi

 
 

Sebbene ciascun tipo di plastica possieda delle caratteristicche specifiche, queste possono essere modificate durante il processo produttivo a seconda delle esigenze. La modifica avviene tramite mescolamento con altri polimeri, o con l’aggiunta di additivi. Un certo numero di sostanze impiegate sono oggetto di preoccupazione sul fronte salute e impatto ambientale. Oggi si considerano particolarmente problematici alcuni ftalati (plastificanti), il bisfenolo A, e diversi ritardanti di fiamma. Molte di queste sostanze sono ormai vietate, mentre altre sono oggetto di verifiche nel quadro della regolamentazione REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione dei prodotti chimici, conformemente al principio “senza dato nessun mercato”), entrata in vigore nel 2007. REACH è un regolamento dell’Unione Europea, adottato al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente contro i rischi potenziali dei prodotti chimici e rafforzare la competitività dell’industria chimica europea. Questo regolamento promuove l’adozione di metodi alternativi che permettano di valutare la pericolosità di alcune sostanze, con l’intento di ridurre i test sugli animali.

Dal momento che non sussistono leggi di dichiarazione obbligatoria per le plastiche e gli additivi che contengono, e i produttori mantengono segreta la composizione dei prodotti, è spesso difficile per i consumatori distinguere tra prodotti nocivi e non, e praticamente impossibile verificare se i divieti o le limitazioni siano stati osservati.

 
 

Bisfenolo A

Il bisfenolo A (BPA) è una sostanza chimica industriale presente in un gran numero di prodotti di uso quotidiano, i cui rischi per la salute e l’ambiente sono oggetto di controversie da anni. Il BPA è un composto di base nella produzione del policarbonato ed è utilizzato nel rivestimento esterno di dispositivi elettrici ed elettronici, bottiglie e contenitori per alimenti, CD, e in campo medico, tra gli altri usi. A questo si aggiunge l’impiego di resine epossidiche derivate dal BPA come vernici per rivestire superfici o sulla superficie interna di lattine per bibite e alimenti, contenitori per bevande e tubi di scarico. Il BPA è altresì utilizzato come additivo per il trattamento della superficie della carta termica, per rallentare il processo di invecchiamento del PVC e come stabilizzatore nei liquidi dei freni.

Il bisfenolo A è una sostanza con elevata mobilità e con effetti pseudormonali. Questa sostanza chimica può diffondersi dagli oggetti e dai rivestimenti al corpo umano, attraverso il cibo o la pelle; dove probabilmente anche piccoli quantitativi possono perturbare il sistema ormonale. I rischi sussistono principalmente per quanto concerne la salute sessuale e il sistema riproduttivo, il diabete, l’obesità, le malattie cardiovascolari, lo sviluppo cognitivo e comportamentale.

Sebbene le autorità europee sottolineino che il bisfenolo A sia inoffensivo, a condizione di essere utilizzato correttamente, alcuni paesi non escludono che possa rappresentare una minaccia per la salute dei consumatori e hanno preferito adottare una strategia prudente. Nel 2008-09 alcuni test effettuati su biberon e ciucci hanno evidenziato risultati preoccupanti. Il Canada ha vietato i biberon in policarbonato contenenti bisfenolo A nel 2008 e in Europa un divieto simile è entrato in vigore nel 2011. Da allora, diverse istituzioni hanno dichiarato che il BPA non rappresentava un pericolo per gli umani, ma parallelamente le ricerche continuano.

 

 
 

La plastica nelle camere dei bambini

I prodotti per bebé, i giochi e i mobili per bambini dovrebbero essere fabbricati con materiali innocui ed essere identificabili con simboli riconosciuti. A titolo esemplificativo, il marchio CE certifica unicamente che un prodotto rispetta le direttive europee meno stringenti. Sarebbe meglio scegliere prodotti aventi sigilli di qualità protetti e rispondenti a criteri più restrittivi, anche se questi possono variare da un paese all’altro. A oggi i prodotti sicuri e innocui sono spesso chiaramente identificabili come tali.

Prima di procedere con l’acquisto, il consumatore dovrebbe esaminare coscienziosamente il prodotto e l’elenco dei suoi componenti, informarsi sulla reputazione e sull’origine del produttore, sulla qualità, robustezza e neutralità olfattiva del prodotto. Si dovrebbe adottare come motto: “acquistare meno in favore della qualità, al posto di acquistare di più a buon prezzo”.  

 

Microplastiche

 
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Le microplastiche rappresentano una parte significativa del problema legato ai rifiuti plastici, recentemente oggetto di ricerche intensive. Le microparticelle (secondo la definizione attualmente in vigore, con taglia inferiore ai 5 mm; le più piccole trovate finora misurano solamente 1/1000 mm) percorrono diverse strade per giungere al mare. Oltre ai detriti plastici che si disgregano sotto l’effetto della frizione e della radiazione solare, i granulati in plastica, materia prima nella produzione delle plastiche, rappresentano una parte importante del problema. Trattati con negligenza, ad esempio durante il trasporto, quantità considerevoli entrano nell’ambiente.

Recenti ricerche hanno mostrato che i tessuti fabbricati a partire da fibre sintetiche, come il poliestere, e soprattutto il pile, liberano, a ogni lavaggio, fino a 1.900 fibre sintetiche. I prodotti esfolianti per l’estetica provocano un problema similare in quanto spesso contengono sferette di plastica fatte di polietilene. Queste microsfere passano attraverso i filtri degli impianti di depurazione e, in sospensione nelle acque reflue, arrivano agli oceani attraverso i fiumi, contaminando le spiagge; o si accumulano come inquinanti ed entrano nella catena alimentare. I prodotti fabbricati a partire da materiali naturali rappresentano un’alternativa valida, in quanto si degradano in elementi innocui, che si decompongono in pochi anni.

 
 

Le sfere in microplastica

L’esfoliazione ha lo scopo di rivitalizzare la pelle, dandole un’apparenza più giovane. Non suscita stupore, pertanto, che l’esfoliazione di corpo e viso sia sempre più praticata per contrastare l’invecchiamento. L’esfoliazione meccanica utilizza spesso agenti abrasivi insolubili in acqua – microsfere in plastica. Le alternative includono: semi della frutta macinati, argille curative e l’olio di jojoba; o ancora granuli solubili in acqua, come il sale o lo zucchero, utilizzati generalmente in combinazione con oli. O il classico metodo di esfoliazione: la spazzola.

PRODOTTI ESFOLIANTI CON SFERE IN MICROPLASTICA :

Un esfoliante viso alle microparticelle di polietilene

Un esfoliante per il corpo con sfere esfolianti di polietilene di diverse dimensioni

 

Alternative:

Un gel pulente per il viso a effetto esfoliante ai granuli di sale

Un esfoliante per il corpo ai noccioli di albicocca macinati

Una spazzola per il corpo fatta in legno e fibre di cactus

 
 
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Micro fibre

Nel 1993 il marchio di attrezzature e abbigliamento outdoor, Patagonia, è stato il primo a utilizzare bottiglie in PET riciclate per produrre alcuni indumenti in pile. Quest’impresa, attenta all’ambiente, afferma orgogliosamente che questo è stato “un passo in positivo verso un sistema più sostenibile che utilizza meno risorse, produce meno rifiuti e protegge meglio la salute delle persone”. Da allora, 92 milioni di bottiglie in PET sono state trasformate in capi d’abbigliamento. La recente scoperta della presenza di microfibre nelle acque reflue, dovrebbe incitare tutte le imprese che producono maglioni e giacche in pile a innovare ancora al fine di proteggere l’ambiente. 

Aravis Hoody Fleece

Patagonia
Poliestere, 2012

 

I materiali naturali, come la seta, il cotone o la lana merino offrono una buona alternativa alle fibre sintetiche, anche per l’abbigliamento sportivo. Questa T-shirt in lana merino neozelandese non crea prurito, è inodore, regola la temperatura corporea e non richiede particolare cura. Inoltre le fibre rilasciate durante il lavaggio non inquinano l’ambiente. 

Se ci tenete a conservare i vostri vecchi maglioni in pile o qualsiasi altro abbigliamento potenzialmente nocivo, ma al contempo volete contribuire a liberare gli oceani dalle microplastiche, l’impresa berlinese Guppy Friend ha una soluzione che potrebbe fare al caso vostro: il loro sacchetto per il lavaggio è dotato di un filtro che trattiene le microplastiche durante il bucato. Grazie a questa innovazione il 99 per cento delle microplastiche che avrebbe potuto finire nel sistema fluviale (dove non possono essere estratte filtrandole) resta nel sacchetto e può essere correttamente eliminato.

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Icebreaker

Maglietta
Lana merino

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Guppy Friend

Sacchetto per il lavaggio,  2016

 
 

Ftalati

Gli ftalati sono plastificanti utilizzati soprattutto nel PVC dove rappresentano tra il 30 e il 35 per cento del materiale. Essi trasformano questo materiale, duro e fragile, in una materia flessibile ed elastica. Nell’Europa occidentale si utilizzano annualmente circa un milione di tonnellate di ftalati, dei quali i cinque più ricorrenti sono: DIDP, DINP, DEHP, DBP e BBP.

In un gran numero di prodotti di utilizzo quotidiano si può trovare del PVC flessibile e, conseguentemente, anche gli ftalati in esso contenuti: rivestimento per pavimenti, carta da parati, tende da doccia, pitture e vernici, imballaggi, prodotti cosmetici, prodotti per lo sport, lo svago e il tempo libero, prodotti per bambini, giocattoli. Nell’industria delle costruzioni, questo materiale viene impiegato nella fabbricazione di cavi, tubi di scarico e sigillante per tetti; nell’industria dell’automobile si impiega per la protezione del sottoscocca, l’impermeabilizzazione, il rivestimento interno e nei teloni per i camion. In campo medico-tecnico, il PVC flessibile è impiegato nella fabbricazione delle sacche e dei tubi di infusione, ma altresì per le capsule a rivestimento enterico.

I plastificanti non sono legati alla plastica, a contatto con liquidi o grassi possono evaporare o dissolversi. Si sospetta che la gran parte dei plastificanti sia rilasciata nell’ambiente al momento dell’utilizzo del prodotto. Gli ftalati vengono assorbiti dal cibo, dalla saliva, attraverso la respirazione, dalla pelle, ma si accumulano altresì nella polvere di casa.

Alcuni studi mostrano che un certo numero di ftalati può rappresentare un pericolo per la riproduzione umana, mentre si sospetta che altri si concentrino nell’ambiente. L’Unione Europea ha classificato numerosi plastificanti come tossici per il sistema riproduttivo umano e ne ha vietato l’utilizzo nei prodotti di puericulura e nei giochi per bambini.

 
 

Alternative

Le pitture e le vernici provviste del simbolo “Blue Angel” non contengono plastificanti. I prodotti innocui o sicuri sono spesso identificati come tali.
I cavi e cablaggi privi di alogeni non contengono fluoro, cloro, bromo, iodio; sostanze che, in caso di incendio, possono avere effetti pericolosi similari a quelli del PVC. Di conseguenza, questi cavi hanno acquisito popolarità crescente negli edifici adibiti a ospitare numerose persone o a custodire materiali preziosi.

 
 
 

La plastica e il consumo rapido

 
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Alcuni tipi di plastica hanno buone probabilità di finire nella spazzatura; gli imballaggi soprattutto, che vengono subito gettati via. I risultati emersi da alcune campagne di pulizia internazionali mostrano che gli scarti provenienti dalle industrie alimentari e degli imballaggi spesso finiscono in mare sotto forma di detriti galleggianti. Tra le dieci più comuni tipologie di detriti si registrano le bottiglie di plastica, i sacchetti di plastica, le cannucce, i coperchi e gli imballaggi alimentari.

 
 

Circa un terzo delle plastiche prodotte a livello mondiale (128,8 tonnellate) è destinato all’industria degli imballaggi.

Questo dato non sorprende in quanto la plastica si presta alla conservazione degli alimenti: non si rompe, è trasparente e non rappresenta che una minima parte del peso totale degli alimenti imballati. Il che permette di risparmiare sul costo del trasporto e, conseguentemente, sull’emissione di CO2, soprattutto in caso di percorrenza di lunghe distanze. Tuttavia, sussiste un chiaro sfasamento tra la longevità dell’imballaggio, che può perdurare per diverse centinaia di anni, e la breve durata di vita del prodotto imballato. 

La logica del “self-service” adottata dai supermercati contribuisce ad aggravare il problema, in quanto implica di pre-imballare il maggior numero possibile di prodotti. Dal canto suo l’industria perora la causa della plastica affermando che il bilancio ecologico di questo materiale è più favorevole rispetto a quello di altri materiali. Ciò significa quindi che bisognerebbe imballare ogni frutto, ortaggio, pezzo di formaggio o salume singolarmente?

 

 

Il modello culturale della “ristorazione mobile” è un’espressione evidente della società contemporanea, costantemente in movimento e alla ricerca di “efficienza e comodità”. 

Incoraggiata dall’onnipresenza della bottiglietta in PET e degli imballaggi per gli alimenti consumati al volo, l’industria della plastica sembra aver trovato un mercato inesauribile che, sfortunatamente, contribuisce all’incremento di rifiuti.

Molti rivenditori e catene di ristorazione rapida si stanno impegnando per trovare alternative più rispettose dell’ambiente. Molto può essere fatto anche a livello individuale: utlizzando bottiglie a rendere o riutilizzabili, fatte di materiali non dannosi, portando da casa contenitori con il pranzo invece che ricorrere al fast food, e quando si organizza un pic-nic o una festa, scegliendo materiali sostenibili e vetro al posto di bicchieri di plastica.

La bottiglia di plastica

Uno dei grandi classici tra i prodotti in plastica è la bottiglia. La sua leggerezza (se paragonata al peso del vetro) è una delle principali ragioni per le quali la si predilige. Tuttavia, dal momento che non è consigliato riempire nuovamente e riutilizzare una bottiglia di plastica, la sua durata di vita utile è incredibilmente limitata. Un certo numero di paesi ha tentato di ovviare ai problemi posti da questo prodotto monouso adottando un sistema di smaltimento speciale che ne porta a un riciclo corretto, facendo pagare una cauzione al consumatore in modo che lo restituisca, e via dicendo. E, fortunatamente, in molti paesi è possibile bere l’acqua del rubinetto.

 
 

The Majestic Plastic Bag—A Mockumentary

Regista: Jeremy Konner
Autori: Regie Miller, Sarah May Bates
Voce: Jeremy Irons
Film, 4:10 min.
Heal the Bay // Partizan and DDB Los Angeles
US, 2010

 

Il sacchetto di plastica

Il sacchetto in polietilene o in polipropilene ha fatto la sua comparsa sul mercato negli anni sessanta. Da allora è diventato l’emblema della società dei consumi. Su scala mondiale, vengono prodotti annualmente circa 600 miliardi di sacchetti di plastica. Un cittadino europeo ne utilizza annualmente circa 500. Generalmente questi sacchetti non vengono utilizzati che una volta; questo aspetto si pone fortemente in contrasto con la loro longevità. Il problema principale per l’ambiente è rappresentato dai sacchetti di plastica fini. Questo tipo di sacchetti, leggeri, viene facilmente trasportato dal vento, trasformando intere aree in paesaggi di plastica; o finiscono in mare trasportati dai torrenti e dai fiumi. Un certo numero di paesi, tra i quali la Francia, la Cina e l’India ne hanno già vietato l’utilizzo, talvolta di tutti i tipi di sacchetti in plastica, alter volte solamente dei sacchetti in plastica leggeri. In parallelo si stanno testando altre strategie mirate a ridurre il numero di sacchetti di plastica che consistono, ad esempio, nel tassarli o a farli pagare, nel riciclarli o nell’utilizzo di bioplastiche. Da un punto di vista ecologico, le alternative più sostenibili sono rappresentate dai sacchetti di carta o di tessuto, dai cestini per la spesa o dai sacchetti di plastica riutilizzabili.