Plastic Garbage Project
 

UN MARE DI PLASTICA

 
 In the middle of the Pacific Ocean, a 200lb. mass of drift net and rope has tangled together slowly over time. Though fish and crabs live successfully in and around the debris, other wildlife like turtles, sea lions and sharks get tangled in the rop
 

L’Archeologia del Futuro

Anche dopo centinaia di anni sulle spiagge e nei mari si continueranno a trovare oggetti in plastica risalenti alla nostra epoca. Testimoni della nostra civiltà, diventeranno, nel lungo periodo, reperti archeologici. Gli studenti del corso di specializzazione in Visualizzazione Scientifica dello ZHdK (Scuola Superiore delle Arti di Zurigo) hanno rappresentato, attraverso disegni, i detriti di plastica provenienti dalle Hawaii come se si trattasse di oggetti provenienti dall'Età del Bronzo o della Pietra.

 
 
 
 

BOZZETTI

In collaborazione con il corso di specializzazione in Visualizzazione Scientifica, Università delle Arti di Zurigo (ZHdK).


 
 

Ritrovamenti

Da oltre venticinque anni, ovunque nel modo, i rifiuti vengono raccolti ed esaminati in occasione della Giornata Internazionale della Pulizia delle Coste (avente cadenza annuale). Una larga porzione del materiale ritrovato è rappresentata da plastica. La plastica ha infatti una rappresentanza molto forte nella "top ten" degli oggetti trovati. In occasione della Giornata Internazionale della Pulizia delle Coste del 2015, sono stati raccolti 74.321 palloncini e 100.117 giocattoli. 

2.127.565 Sigarette e filtri di sigarette
1.024.470 Bottiglie di plastica
888.589 Incarti per alimenti
861.340 Tappi di plastica
439.571 Cannucce e palettine
424.934 Sacchetti di plastica (altri)
402.375 Bottiglie di vetro

Top ten degli oggetti raccolti nel 2015.
Fonte: Giornata Internazionale della Pulizia delle Coste del 2015

Spazzolini da denti

Ogni anno nel mondo vengono prodotti circa 3.5 milioni di spazzolini. Al pari di tanti altri oggetti di uso quotidiano, finiranno in mare sotto forma di rifiuti di plastica.

 

La piattaforma online Marine Litter Watch, fornisce regolarmente informazioni aggiornate sulle campagne di pulizia delle spiagge e sugli oggetti ivi trovati. La "Marine Debris Tracker” offre una panoramica dei recenti ritrovamenti – rifiuti in plastica e altri inquinanti marini – e dei luoghi in cui sono avvenuti.

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Un vortice di rifiuti di plastica

 
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Nei mari si assiste alla formazione di correnti ampie e profonde generate dal moto di rotazione terrestre, dai venti, e dalle differenze di pressione, temperatura e di contenuto salino, così come dalla topografia del fondale marino. Queste correnti movimentano masse d'acqua che a loro volta fanno confluire tutti gli oggetti ivi galleggianti o sommersi verso i bacini oceanici. In cinque zone sulla superficie degli oceani, le correnti, sollecitate dai moti ventosi, portano alla formazione di ampi vortici di acqua: i cosiddetti "gyres", o vortici. Le zone "calme", collocate all'interno di questi "gyres", vengono definite "chiazze di immondizia", meglio conosciute come "Isole di plastica", appellativo derivatogli dalle enormi quantità di rifiuti galleggianti ivi depositate. Una volta che i rifiuti entrano in contatto con il vortice, possono continuare a girarvici dentro per decenni, degradandosi in frammenti via via più piccoli sotto l'effetto della luce del sole e delle correnti oceaniche.

Estese su una superficie di più di 700.000 chilometri quadrati (il cosiddetto Great Pacific Garbage Patch), queste isole di plastica vengono spesso descritte come “continenti”, anche se assomigliano più ad una “zuppa di plastica”: i loro componenti infatti fluttuano in modo continuo spostandosi da una parte all'altra. Malgrado le loro enormi dimensioni però, questi vortici non sono visibili dal cielo.

 
 

Gyre (Vortice), 2010

Jacob Magraw-Mickelson,
Guazzo su carta (riproduzione)
Richard Heller Gallery, Santa Monica, US

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Esperimento di Visualizzazione delle Isole di Plastica

2015 Studio di Visualizzazione Scientifica della NASA

“Salve sono Greg Shirah dello Studio di Visualizzazione Scientifica della NASA. Volevamo verificare se fosse possibile visualizzare quelle che vengono definite le “Isole di plastica”. Partiamo dai dati raccolti dalle boe scientifiche che l’Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica (NOAA) ha collocato negli oceani in questi ultimi trentacinque anni, rappresentate qui con dei punti bianchi. Accorciamo i tempi per vedere dove si dirigono le boe… dal momento che continuano a essere introdotte nuove boe, è difficile tracciare il percorso delle boe collocate in precedenza. Rendiamo più chiara la mappa aggiungendo i luoghi da dove sono partite tutte le boe… Vediamo delinearsi percorsi interessanti in molteplici zone. Le linee delle boe sono dovute alle imbarcazioni e agli aerei che le rilasciano regolarmente. Se lasciassimo partire tutte le boe allo stesso tempo, potremmo osservare degli schemi migratori. Il numero di boe diminuirà, in quanto non tutte dureranno allo stesso modo. Le boe migreranno verso cinque conosciuti vortici, chiamati altresì “Isole di plastica”. Il medesimo fenomeno può essere verificato da un modello informatico di correnti marine chiamato ECCO-2. Distribuiamo delle particelle in modo uniforme su scala mondiale e lasciamo che le correnti del modello le trasportino: osserveremo che le particelle del modello migrano anch’esse verso le cosiddette “Isole di plastica”. Anche se le boe risincronizzate e le particelle del modello non hanno reagito contemporaneamente alle correnti, il fatto che i dati tendano a concentrarsi nelle stesse regioni mostra a quale punto il risultato sia valido.”

 
 
 

La grande Isola di Plastica del Pacifico

Nel Pacifico del Nord, il flusso delle correnti è di una natura tale per cui ogni oggetto galleggiante proveniente dalle coste giapponesi, della Cina, della Russia, della Corea, degli Stati Uniti e del Canada approderà inevitabilmente sulle spiagge delle Hawaii. In seguito allo tsunami e alla catastrofe nucleare di Fukushima, nel marzo 2011, in Alaska e nelle Hawaii si è seguito, non senza preoccupazione, il percorso compiuto dai detriti provenienti dal Giappone.

All’interno della pagina principale del sito Plastic Adrift, i visitatori possono gettare una paperella di gomma nell’oceano e osservare come questa venga trasportata dalle correnti per i successivi dieci anni, così come dove finirà.

 

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore

Infografica: John Papasian, John Bradley
The Independent, London, UK

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La plastica in mare

 
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Cosa accade agli oggetti di plastica una volta giunti in mare? I detriti più leggeri galleggeranno in prossimità della superficie e verranno trasportati dalle correnti per lunghi periodi e distanze. Alcuni di essi si spiaggeranno. La plastica con una densità superiore a quella dell’acqua si depositerà invece sui fondali marini. Senza contare che un grande quantitativo di detriti verrà mangiato dagli animali.

Se una grande parte di questi detriti finisce negli oceani, è perché in molti paesi non esistono sistemi di smaltimento dei rifiuti e procedure di riciclo corretti. Ma lo smaltimento dei rifiuti nelle regioni costiere e in mare costituisce altresì una fonte importante di rifiuti in plastica. Spesso non esistono regolamentazioni fornenti un quadro legale che vieti di gettare la spazzatura se non in appositi luoghi o che incoraggi le pratiche di riciclo.

 
 

Dal momento che la plastica ha una durata della vita molto lunga, il problema del suo comportamento nell’acqua degli oceani a livello mondiale e le strategie da mettere in atto per impedire che questa li raggiunga ci occuperanno ancora per molto tempo.

 
 

How Long Until It’s Gone? (Quanto tempo prima che sparisca?), 2012

Infografica: Oliver Lüde
Museum für Gestaltung Zürich, ZHdK

 
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Il processo di invecchiamento: la disintegrazione

La frizione meccanica, il sole e i processi chimici conducono alla progressiva disintegrazione degli oggetti in plastica. Dal momento che i plastificanti liberati evaporano, il materiale diventa più fragile e si disgrega in parti via via più piccole.

 

Il processo di invecchiamento: fusione

Il calore, la pressione e la luce del sole attaccano il materiale in differenti modi. I blocchi in plastica che si formano in seguito alla fusione spesso incorporano materiali estranei.

 
 
 
 

Lo squallido viaggio della nostra spazzatura

Infografica
Project AWARE, US

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Rifiuti di plastica prodotti e mal gestiti, 2016

R. Pravettoni e J. Fabres, Marine Litter Vital Graphics, UNEP and Grid-Arendal

Fonte: J. R. Jambeck et al., Plastic Waste Inputs from Land into the Ocean, Science, 2015 / B. Neumann et al., Future Coastal Population Growth and Exposure to Sea-Level Rise and Coastal Flooding – A Global Assessment, PLOS ONE, 2015

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Gli effetti sul mondo animale

 
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La presenza di plastica negli oceani nuoce non solo alle specie marine prese singolarmente (intrappolamento/aggrovigliamento, ingerimento), ma rappresenta altresì un pericolo per l’ecosistema nel suo complesso. Alcune specie, infatti, riescono a percorrere distanze considerevoli servendosi della plastica ivi presente, distanze che non avrebbero potuto percorrere con i materiali naturalmente presenti negli oceani. Il risultato è l’insediamento di queste specie in un nuovo ecosistema e la conseguente minaccia al suo equilibrio.

 

Inoltre le particelle di plastica non cessano di disintegrarsi in particelle via via più piccole, entrando a far parte della catena alimentare. I frammenti più piccoli si depositanto sui fondali marini divenendo parte dell’habitat naturale.

 

 

Specie invasive

Gli organismi marini hanno trovato un nuovo modo si spostarsi: “l’auto-stop”, servendosi della plastica presente nei mari e negli oceani. Il plancton e alcune specie di alghe hanno bisogno, per riprodursi, di un supporto galleggiante sul quale depositare le uova. Prima dell’arrivo della plastica queste specie si servivano di organismi vegetali, ma questi ultimi decadevano dopo breve tempo. Da quando la plastica ha invaso i mari, le specie invasive se ne servono per spostarsi su lunghe distanze da un habitat all’altro. Nel nuovo habitat queste specie aliene costituiscono spesso una minaccia al suo equilibrio ecologico.

La plastica abitata

Gli oggetti in plastica galleggianti, così come la plastica depositatasi sui fondali oceanici, vengono colonizzati da molteplici varietà di organismi marini. Trasportati dalle correnti marine, questi animali allo stadio larvale vengono in contatto con i detriti plastici, vi si installano e vi si sviluppano.

 
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Specie invasive su plastica in nuova zelanda, 2012

Dati: Murray R. Gregory/Philosophical Transactions of the Royal Society B, Infografica: Tobias Strebel, ZHdK, Museum für Gestaltung Zürich, ZHdK

 
 

Aggrovigliamenti

Le reti da pesca e le lenze costituiscono spesso delle trappole mortali per gli animali marini. I pesci, i mammiferi marini e le tartarughe restano intrappolati nelle “reti fantasma”, soffocando o morendo di fame. Queste reti, che spesso formano masse enormi, costituiscono altresì una minaccia per la navigazione.

I porta lattine delle birre, e altri oggetti a forma di anello possono avere conseguenze catastrofiche per gli animali marini, che vi restano imprigionati senza riuscire a liberarsi. Un giovane animale che resta imprigionato può incorrere in gravi ferite, in quanto la plastica che lo imprigiona non segue il suo sviluppo fisico.

 

Un nuovo habitat

Un buon numero di specie animali e vegetali sa trarre profitto dalla plastica, utilizzando questo nuovo materiale per vari scopi. Gli uccelli vi costruiscono il nido, il paguro utilizza dei pezzi di bottiglia come guscio. I mitili e i coralli si ancorano su secchi, tubi o altri oggetti presenti sui fondali oceanici. Più in generale si può affermare che i detriti marini fanno parte dell’habitat di numerose specie animali e vegetali.

 
 

Il cibo dei fulmari

Mentre gli animali che si nutrono di plancton ingeriscono involontariamente delle microplastice, gli uccelli e le tartarughe le mangiano volontariamente, scambiandole per cibo. Il contenuto della ciotola qui esposto, proviene dallo stomanco di un fulmaro e rappresenta la quantità media di plastica contenuta all’interno di questo volatile proveniente da una regione fortemente inquinata del Mare del Nord, e nello specifico  0.6 grammi. Nell’altra ciotola, mantenendo le proporzioni, è mostrato quello che conterrebbe il suo stomaco se pesasse tanto quanto un essere umano. Secondo Jan van Franeker, ricercatore presso l’Istituto per le Risorse Marine e lo Studio degli Ecosistemi (IMARES), gli uccelli migratori trasformano e trasportano la plastica: i tre quarti della plastica presente all’interno dello stomaco di un fulmaro, infatti, vengono decomposti ed espulsi altrove. Secondo i calcoli di van Franeker, gli uccelli sono distributori a livello mondiale di tonnellate di plastica, sotto forma di microplastiche.

Molti animali scambiano le particelle di plastica per cibo. Gli uccelli ingeriscono tappi di bottiglie PET, accendini e ogni tipo di microplastica. Nello stomaco delle tartarughe marine morte sono state ritrovate quantità impressionanti di resti di sacchetti di plastica.

A seconda della forma e del funzionamento dell’esofago e dello stomaco dell’animale, può succedere che quest’ultimo sia incapace di digerire e di espellere i frammenti indigesti. Lo stomaco in questo modo si riempie e l’animale muore di fame, soffoca o soccombe a ferite interne (perforazione o lacerazione della parete intestinale). Gli organismi che si nutrono di plancton ingeriscono questi microframmenti con il loro nutrimento naturale.

 

 

Midway: UN MESSAGGIO DAL VORTICE

Chris Jordan, Fotografie, dal 2009
Concessione della Christophe Guye Galerie, Zurigo, CH

 
 
 
 

Microplastica

 
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Sotanze dannose contenute nei granuli di plastica

Attraverso la sua organizzazione “International Pellet Watch” situata presso il Laboratorio di Geochimica Organica di Tokyo, il Professor Hideshige Takada (della Facoltà di Agricoltura e Tecnologia dell’Università di Tokyo) studia la presenza di inquinanti persistenti contenuti nei granuli di plastica su scala mondiale. Una rete di volontari invia campioni di circa duecento granuli raccolti sulle spiagge locali. I dati raccolti forniscono un’indicazione sulla ripartizione mondiale degli Inquinanti Organici Persistenti (dall’inglese POPs – persistent organic pollutants), le cui caratteristiche variano sovente da regione a regione.

 

International Pellet Watch, 2012

Dati e ideazione: Hideshige Takada, PhD, Tokyo, JP
Infografica: Oliver Lüde
Museum für Gestaltung Zürich, ZHdK

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PCB
(Policlorobifenili)

(infographic above and below: Yellow)

I PCB sono dei policlorobifenili tossici e cancerogeni. Fino agli anni ottanta erano utilizzati soprattutto all’interno dei trasformatori e dei condensatori elettrici, negli apparati idraulici e come plastificanti nelle vernici, nei sigillanti, negli isolatori e nelle plastiche. I PCB fanno parte delle dodici tossine organiche, denominate la “sporca dozzina”, il cui utilizzo è stato vietato, su scala mondiale, dalla Convenzione di Stoccolma del 22 maggio 2011. I PCB hanno invaso l’intero pianeta: l’atmosfera, gli oceani, i fiumi e il suolo. Sono praticamente insolubili in acqua e si concentrano nel tessuto adiposo degli esseri viventi.

Anche piccole quantità di queste sostanze possono avere effetti tossici persistenti quali l’acne clorica, la caduta dei capelli, anomalie della pigmentazione, lesioni epatiche, malformazioni embrionali, danni al sistema immunitario. Possono ritardare lo sviluppo fisico e cognitivo. Inoltre si sospetta che queste sostanze chimiche possano interferire con il sistema endocrino, causare infertilità maschile e “femminilizzazione”.

DDT
(DICLORODIFENILTRICLOROETANO)

(infographic above and below: Orange)

Il DDT è un clorurato organico a bassa degradabilità. Si tratta di una sostanza pressoché insolubile in acqua che si accumula nel tessuto adiposo, nel fegato, nel sistema nervoso, ma anche nel latte materno degli esseri viventi.

Nel 1948, lo scienziato svizzero Paul Hermann Müller vinse il premio Nobel per la scoperta dell’efficacia del DDT come insetticida. Da allora questa sostanza ha conosciuto un uso intensivo in agricoltura e nella lotta contro il paludismo.

Tuttavia, a partire dagli anni quaranta, molteplici scienziati americani si sono interrogati sui possibili effetti di questa sostanza sulla salute. Si è osservato ad esempio che, la presenza di DDT nell’habitat di alcune specie di uccelli minacciati, come l’aquila di mare, rendeva più fragile il guscio delle uova e danneggiava gli organi riproduttivi delle femmine. Nell’uomo si sospetta che questa sostanza possa interferire con il sistema ormonale, provocare aborti o nascite premature, causare il diabete e avere effetti cancerogeni.

HCH
(ESACLOROCICLOESANO)

(infographic above and below: Green)

L’HCH, più comunemente conosciuto come Lindano, è un composto polialogenato utilizzato come pesticida e agente conservante del legno. In Europa il suo utilizzo è vietato dal 2007. Il Lindano è una neurotossina che si accumula all’interno della catena alimentare. È tossico per gli organismi acquatici. Nell’uomo è sospettato avere effetti cancerogeni e favorire lo sviluppo della malattia di Parkinson. Si sospetta altresì che l’esposizione a grandi quantità di questa sostanza possa portare alla sclerosi a placche o a danni del sistema nervoso, a delle anomalie a livello degli organi interni e nella composizione del sangue. In caso di esposizione cronica, il Lindano può accumularsi nel latte materno, nel plasma, nella massa grassa, nel midollo osseo e nel sistema nervoso centrale. L’ ex-RDT riconosceva come malattia professionale i danni al midollo osseo negli operai e agricoltori che erano stati frequentemente esposti a questa sostanza chimica.

 
 

L’IMPATTO DEGLI INQUINANTI SULLA SALUTE UMANA

Infografica: Oliver Lüde
Museum für Gestaltung Zürich, ZHdK, 2012

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LA MICROPLASTICA ALLA CONQUISTA DEGLI OCEANI

Kim Preshoff, Jo Hepworth
Film per TedEd
Reflective Films, UK
2014

 

Le lacrime della sirena

Dal 1999 gli artisti californiani Richard e Judith Lang collezionano resti di plastica approdati sui novecento metri della remota spiaggia di Kehoe Beach, vicino a Point Reyes National Seashore. I rifiuti che trovano non sono abbandonati dai visitatori, ma portati dal mare. Richard e Judith Lang differenziano i frammenti per colore e natura per integrarli in seguito nelle loro creazioni artistiche.

Nell’installazione “Le lacrime della sirena”, la coppia di artisti combina primi piani di microplastiche con una tavola ricoperta di sabbia: quest’opera riproduce la proporzione di microplastiche presenti sulla spiaggia. Esaminando la sabbia con una lente, si può constatare che è quasi impossibile disitnguere i granuli di sabbia dalle microplastiche. La coppia ha invitato il professor Takada a partecipare a questo evento artistico esaminando la quantità di inquinanti contenuti nelle microplastiche.

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LE LACRIME DELLA SIRENA

Richard Lang e Judith Selby Lang, Installazione interattiva, tecniche miste, US, 2008

 
 
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Si ringraziano per aver raccolto e inviato campioni per l’esposizione:

Craig Harper, Emma Christison, Ines Lopez-Doriga, Jodie Harper, Judith Selby Lang, Lenka Provaznikova, Lily Hall, Lisa Aebersold, Lisa Robinson, Martin Provaznikova, Richard Lang, Roman Aebersold, Rose Mitchell Spohn, Tim Aebersold